L’articolo che propongo parla di una questione molto delicata, che spesso è vissuta male dai genitori: cosa fare se il figlio non vuole andare dallo psicologo?
Nel corso della vita, è possibile che arrivi un momento in cui entriamo in contatto con il disagio e la sofferenza di una persona a noi vicina. In questi casi, in base ad una serie di fattori individuali e relazionali, è possibile reagire in modi molto diversi. In particolare, il livello di confidenza che si ha con questa persona è indice abbastanza affidabile di quanto ci sentiremo coinvolti nel suo stato d’animo. Oppure, anche le nostre capacità empatiche sono importanti in questo senso: ciò che cambia è la capacità di entrare in contatto con le emozioni e assumere il punto di vista altrui.
Ma cosa cambia se la persona ha un dolore fisico o una malattia, rispetto al fatto che stia vivendo un momento di disagio psicologico? Perché gran parte di ciò che proviene dalla sfera psichica è troppo spesso sottovalutato o crea grande timore?
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Indice dei contenuti
Le possibili reazioni al disagio psicologico
Quando si entra in contatto con la sofferenza psicologica si può reagire in diversi modi, ognuno dei quali porta ad un comportamento diverso.
Sottovalutare/minimizzare il problema
Spesso, in mancanza di prove evidenti della sofferenza, come per esempio potrebbe essere la febbre, o una malattia fisica, si tende a dare poca importanza alla situazione. In realtà, il disagio psicologico è molto subdolo e può essere nascosto ai nostri occhi. La distanza verso la sofferenza può portare a negare il problema, facendo finta che non esista. In tal modo, la persona sofferente tenderà a chiudersi ancora più in sé stessa, perché non vedrà la possibilità di potersi aprire e condividere il suo disagio. Inoltre, se il figlio non vuole andare dallo psicologo, non ci sarà modo di convincerlo del contrario. Probabilmente, si sentirà poco ascoltato, non accettato, sminuito. Questo, inevitabilmente, porterà ad un peggioramento del problema.

Enfatizzare il problema
A volte può capitare che persone particolarmente ansiose si trovino ad aver a che fare con un familiare o un conoscente che sta vivendo un particolare periodo di sofferenza psicologica. La tendenza di queste persone è spesso quella di accudire in qualsiasi modo i bisogni di quest’ultima, sostituendosi a lui in tutto, rendendolo privo della sua autonomia e personalità propria di un individuo. Sarebbe bene sottolineare che la sofferenza e il disagio psicologico sono debilitanti, ma non tolgono alla persona la sua “umanità”. Spesso, chi si trova in queste situazioni non ha bisogno di un badante, di una persona estremamente accudente che pensi a loro in ogni momento e modo. Queste persone hanno il bisogno di essere appoggiate e sostenute, che è diverso rispetto a essere sostituite.
Il dottore fai-da-te
Chi non si sente “un po’ psicologo”? La falsa consapevolezza di saper affrontare il disagio psicologico come un professionista di mischia alla quotidianità, ai modi di fare propri di un caro amico o di un genitore. Chi tratta le problematiche psicologiche in modo professionale non è mai coinvolto direttamente con la persona interessata. Consigliare e giudicare non sono attività che fa uno psicologo o uno psichiatra. Spesso, le persone che hanno questo atteggiamento verso il disagio psicologico tendono a dare consigli, ad ascoltare i problemi senza avere le competenze teoriche e gli strumenti tecnici che possono ridare alla persona la sua autonomia. In questo caso, i rischi maggiori sono quelli di confondere il ruolo dell’amico (che consiglia, supporta nei momenti di difficoltà, si confronta) con quello del professionista (che sviluppa le capacità personali per raggiungere l’autonomia, analizza il problema sotto punti di vista differenti, da gli strumenti per cavarsela da soli). In questi casi, si alimenterà il problema che il proprio figlio non vuole andare dallo psicologo.
A chi rivolgersi: psicologo o psichiatra?

Davanti alla sofferenza psicologica e alle psicopatologie (disturbi d’ansia, depressione, attacchi di panico e molti altri), lo specialista di riferimento è lo psicologo e lo psichiatra. C’è una netta differenza tra le due figure.
Psicologo: è un dottore laureato in Psicologia, che ha sostenuto l’esame di Stato per l’abilitazione allo svolgimento della professione, dopo aver completato un tirocinio formativo di 1000 ore. In seguito all’iscrizione all’Ordine Regionale, svolge attività di prevenzione, diagnosi, riabilitazione e sostegno rivolte all’individuo, alla famiglia, alla coppia, al gruppo e alle organizzazioni. Può aver conseguito un’ulteriore specializzazione di 4 anni in Psicoterapia. In tal caso, programma e mette in atto interventi terapeutici veri e propri. In entrambi i casi, il professionista non somministra farmaci. Se vuoi puoi scoprire qualcosa di più su chi sono e il mio metodo di lavoro.
Psichiatra: è un dottore laureato in Medicina che ha conseguito una specializzazione in Psichiatria di 3 o 4 anni. Il suo intervento consiste nella cura dei disturbi psicologici e delle psicopatologie servendosi di cure farmacologiche. In quanto medico, può somministrare farmaci.
Entrambe le figure presentate possono essere consultate in caso ci si accorga che il proprio familiare o amico ha un problema psicologico. Quando ciò avviene, la professionalità, garantita dagli standard dei relativi Ordini professionali di appartenenza, inquadrano il problema valutando la necessità di impostare, eventualmente, una terapia personalizzata.
Cosa faccio se mio figlio non vuole andare dallo psicologo?

Può capitare che un figlio non voglia andare dallo psicologo o non voglia essere aiutata. Ciò potrebbe essere possibile perché non si riconosce di stare male. Oppure, dal fatto che il malessere psicologico è ancora considerato un tabù nella nostra società, qualcosa da cui scappare, che non deve essere affrontato. I motivi che stanno alla base di queste idee sono che la sofferenza psicologica è sinonimo di debolezza e che appartiene a persone “strane”.
Come ci si deve comportare in questi casi? Ovviamente, il primo fattore da prendere in considerazione è il grado di familiarità con la persona interessata. Una madre ha un ruolo ben differente rispetto a quello di un amico. Così come un figlio ha una “gerarchia” differente rispetto al padre. Il secondo fattore da tener presente è l’età della persona: un bambino , un ragazzo di 12 anni ha meno autonomia di una persona di 30 anni.
I bambini
Quando un bambino soffre, lo dimostra in molti modi: a volte piange, a volte urla, a volte si chiude in sé stesso. La sofferenza psicologica è molto più invasiva e cronica rispetto ad altre malattie fisiche, quindi non è raro vedere tutti i tre comportamenti. Infatti, più il bambino è piccolo, meno saprà gestire e regolare i propri stati emotivi e comunicare ciò che realmente prova. Questo è anche dovuto alla fatica che il bambino fa ad accedere ai propri stati emotivi.
Una madre di un bambino potrà imporsi in modo deciso, poiché è la diretta responsabile per la salute del figlio. In ogni caso, è utile avere un atteggiamento empatico verso il bambino. Si consiglia di essere aperti ad ascoltare i problemi e i disagi espressi in modo più o meno evidente, senza giudicare. Il bambino avrà bisogno di un punto di riferimento; sapere che può aprirsi con una figura di riferimento sarà un ottimo modo per creare l’alleanza necessaria per risolvere il problema.
Per spiegare ciò che sta succedendo, è importante usare un linguaggio che il bambino possa capire. Come gli era stato spiegato, probabilmente, che l’ospedale è il luogo dove si curano le persone che stanno male, si potrà spiegare che il dolore non è sempre fisico. In questi casi, non si va in ospedale, ma da una persona che cura la paura, la tristezza e l’agitazione. Se il figlio non vuole andare dallo psicologo, è perché probabilmente, a quest’età, avrà paura delle conseguenze. Meglio evitare le parole “dottore”, “clinica” o altre riferite al contesto ospedaliero, poiché il bambino potrebbe essere già spaventato da questo mondo.
È importante che i genitori assicurino sempre la loro vicinanza e presenza.
Adolescenti

Quando i figli entrano nel periodo dell’adolescenza, le cose si fanno più difficili. Il desiderio di autonomia aumenta in parallelo a quello di allontanarsi dai genitori. Il genitore che si trova in queste situazioni sa bene come sia rischioso intromettersi nella sfera privata del figlio, per la quale sta combattendo al fine di renderla autonoma. Il disagio psicologico degli adolescenti è molto importante, anche perché si colloca in un periodo in cui i cambiamenti sono pesanti e frequenti. Secondo molti studiosi, le psicopatologie più frequenti hanno più possibilità di iniziare nel periodo dell’adolescenza. Pertanto, in base a quanto detto, se il figlio non vuole andare dallo psicologo, non lo si deve obbligare. Anzi, tutti i comportamenti che lo faranno sentire costretto, non faranno altro che allontanarlo ancora di più. Tuttavia, si può far leva sul suo senso di responsabilità (che sta crescendo e che è ciò a cui ambisce l’adolescente) per fargli comprendere ciò che sta succedendo da un punto di vista diverso. Il ragazzo avrà sicuramente già avuto esperienze dirette con altri medici e sa che ad ogni malattia corrisponde un dottore diverso. La sofferenza psicologica non deve essere vista come segno di “diversità” rispetto ai suoi coetanei (ipotesi a volte terribile per il ragazzo), ma come momento della vita in cui si ha bisogno di aiuto.
Adulti
Il numero di adulti che soffre di un disturbo psicologico è incredibilmente alto. In questi casi ci si trova davanti ad una persona che è sempre stata autonoma, sana e libera di vivere la propria vita senza disagio. La perdita di autonomia, per esempio durante una depressione, o la forte ansia che si può ad arrivare a provare in alcune situazioni della vita, spesso sono nascoste dall’adulto. Per la società, entrare nell’età adulta significa avere maturato competenze di vita autonome. Perderle, significa venir meno ai requisiti richiesti. Nella mente di un adulto soffrente, questo evento potrebbe essere visto come un fatto drammatico. Se il figlio adulto non vuole andare dallo psicologo, le ragioni potrebbero essere tante.
La cosa più opportuna da fare, è quella di parlare con la persona per far emergere il suo bisogno di un aiuto specialistico. Il “dottore fai-da-te” è rischioso, perché alimenta nell’adulto l’idea che sia possibile uscire dal periodo di crisi parlando con amici e famigliari, allontanandolo dalla presa di consapevolezza di aver bisogno di un aiuto più professionale.
Anche in questi casi, è utile dare a questa persona il supporto sia concreto sia emotivo di cui può aver bisogno. Infatti, per alcune persone può essere molto difficile rivolgersi ad uno psicologo perché temono il giudizio degli altri.
In ogni caso, è bene tenere in considerazione la volontà della persona interessata. Infatti, che si tratti di un bambino o di un adulto, ci si trova davanti ad una persona che prova emozioni e che pensa, e come tale va trattata.